La macchia meditarrena di Peschici dopo l'incendio del luglio 2007 (per non dimenticare...)

sabato 10 dicembre 2011

Alcune poesie tratte dal Morbo di Neon

 Dalla sezione Sintomi in fabula


Kòmos


Lo specchio su moquette riproietta
paste umane o iridi che serve cotonate
in vapor di rimbombi e singhiozzar di lampi,
segmentate in tegumenti babbucce
e colabrodi per musica. 
Scarne marionette, sorelle,
rosee culle ondeggiano al pendulo bivio
di fruscianti falene; donne labili,
pigrissime di seni, vulve che a sciami
sulla nuca infuriano d’un timido uomo
che inerme si lasci sventrare,
niveo plasma di fari!
L’homo audiens beve in sogno
l’intimo pus di svenanti processioni,
il rombo l’assedia di fallofori centauri,
fino alla base del vulcano dormiente,
nel fresco nido dei capperi.
In crociera

Tingerai i miei capelli di fucsia e ocra,
ne farai amido e biancherie, ritorte
gomene sulla battigia.
Odo profili di poiane dai cunei del porto,
capto nubi di rose come fiacchi blu tartan
di lentissimi mimi armati di lacrimanti pennelli,
e lune e il conico fumo di platani
nella notte bambola.
Tra le dita arpeggiavi pulviscoli d’anime,
abili cromie d’ossuti sciamani (in smoke)
al quotidiano viraggio dei ruoli.
E ricordo che ti limavo rasi di palpebre
giocando, penosa maniera, ad averti,
ma che lambivo solo gru di stelline o bengala,
scialbe parvenze in atomi.
Qui ora, nei lividi venti, sovviene
il tuo amato sciabicare sui nivei corridoi
della tronfia motonave, l’alberello viola e, in corto,
pulsante a un tremulo bivio di ladri:
quei fulvi briganti di ciglia.


Cinema

Frullanti codibugnoli,
sguardi plumbei nell'egra pianura, vogano
e sono flotte dentro ai pungoli albescenti
di cartine tornasole.
I piloni del signor Camaleonte
bruchi vangano all’aperto, sì che fuligini,
nere biglie di stercorari fendisabbia
la guaina pari non hanno all’odierno, ferito paesaggio,
fluido arazzo che tra confini (per epoche) si svolse
dei nostri occhi antinebbia protesi alla conta
di fulminei battistrada: la curva di flebili pini
che a scapole tessevano poderi,
le ferrovie cremisi delle insegne
gommose d'acqua e ticchettii mostiferi.

Parca vi recava la Taunus
rampolli offuscati dai motel...


















Il mangianastri


Cuffie in ciniglia o d’una gomma piuma
spargevano la bruma infatuante al sax
e un respiro verginale, preludio solidale
al vocalizio. Rammenti com’era?
eccitate campagne di play
in un lavico equinozio
(sullo sfondo un Knopfler)
e un continuo slavarsi con tonfi, rullate,
campanelli ed echi,
a nutrire sparviere vertigini di carri,
sotto pingui cieli vinavil marzapane.
Amavamo le rive di plastica
da cui fendere, avidi, il delta inane della sera;
e come un fiume natio donatore di pause
abitava in boschi d’ascelle
il tuo mangianastri al cimurro,
così ben accordato ai lunghi,
fumosi catrami...

Ma che infallibile grazia
quel rec rosso papavero
per le dolci minchiate notturne!


In fabula
Accadde all’alba di librarsi
come alici nel mirabile, sciamare
e poi disfarsi in tenui brezze di fiaba;
al focolare maghe pulsavano le gioie
delle storie e crepitii di canestri bagnati,
era la sedia a dondolo...
(Il nonno vi morì circa alle otto,
ma dal basso gli scorgemmo reclinare la testa,
tra il pavé a rombi e un ovvio tremolio.)
Adolescens adolescens,
martoriata speranza d’isole e bonghi!
Fummo scivoli felpati in soli
planati nei coni d’allunanti sedativi;
diademi, turbanti, pigre nenie
di chissà quali erbe o declivi;
era il buio un sabbioso bagliore famelico
d’arazzi, imbevuto a nugoli, a lauti gorghi,
da neri crocchi imbastito di sarte;
e pullulava di fate ogni santa sera,
concave donne sorprese a indorar chiostri
di lava confusa ad aciduli,
sgolanti tremori.

Finché un giorno di colpevole scirocco
ci videro uscire nudi e trafelati dal bagno
e rientrare, a carponi,
nelle torbide grate del tempo.

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